Tag
art, arte, dipinti, francescacanobbio, laleggedelbuio, libri, libro, Oèdipus, pinopontoriero, prosapoetica
E’ finalmente disponibile presso l’indirizzo info@oedipus.it
e nelle librerie,
la mia “LA LEGGE DEL BUIO”
GRAZIE!
Posted libro, Senza Categoria
inTag
art, arte, dipinti, francescacanobbio, laleggedelbuio, libri, libro, Oèdipus, pinopontoriero, prosapoetica
E’ finalmente disponibile presso l’indirizzo info@oedipus.it
e nelle librerie,
la mia “LA LEGGE DEL BUIO”
GRAZIE!
29 mercoledì Nov 2017
Posted arte, audio-poesia, bob quadrelli, composition, comunicazione di servizio, cultura, francesca canobbio, la legge del buio, letteratura, libri, libro, musica, Oèdipus, poesia, poesia, prosa poetica, versi, versi poetici, prosa poetica, prose poetiche, scritture, Senza Categoria, video-poesia
inVideo del Maestro e premio Tenco Bob Quadrelli estratto dal mio nuovo libro “La legge del buio” in uscita a gennaio per le edizioni Oèdipus
22 martedì Dic 2015
21 mercoledì Ott 2015
Posted arte, composition, cultura, foto, immagini, ispirato, letteratura, letture, libri, libro, poesia, poesie, prosa poetica, prose poetiche, racconti, scritture, versi, versi poetici
inQuanto si piega, si sferza, si liscia, si ammoscia, si dirige nelle ghiandole e nel sangue, di giorno in giorno, nell’esausto caos del momento preciso in cui si ci accorge di essere ancora vivi, dopo ogni notte, alla suprema alba dei canti diurni che riconducono all’esausto desco del travaglio sull’asta del saltimbanco in perenne fuga dalla caduta voraginosa nella selva del cervo abbattuto durante la caccia sfrenata alla preda del mondo, un fantasma senza arte né parte a guidare il proprio baule in trasferte per vette e pianure di spazi che rigettano i corpi affilati dalla lotta perenne con la propria figura che si dirige di maschera in maschera verso sepolcri di mondo a conciliare baldorie e preghiere con giorni e notti a venire a supplicare una veste di pace sul soffitto inamidato del cielo che farfuglia canti che badano alla nuvola disastrosa in laghi di pioggia e lacrima di misteriosa fattura che infanga la terra di spermatica vita in divenire di orti e di fiori maldestri senza braccia e su un solo piede nello sguardo paralizzato delle loro croci a corona del cerchio dell’esistenza mutilata dei fiori per belletti ad inutili altari di sandali tripedi per santi che portano la pace nel cuore di una croce o di una moschea o chissà quale tempio per nuove sante guerre che vorrebbero decidere del tuo destino celeste, quando il colore è una nota iridescente, iris spietata che investe l’umano della costosa fatica di stare al giorno svegli alla luce dei giorni, iris dell’anima sola e disfatta che non prega che il diritto alla separazione dal matrimonio con il corpo terreno e si esalta di momenti di fulgida estesi in abbracci spietati con l’etere eterno in ogni momento di rara unica sacra e sfuggente ventura di gioia, riposta nell’unica carne che ci possa rendere immuni dal fuoco del mondo, il corpo astrale nel viaggio verso ritmi di armonia che non sono mai negati a nessuno e costelleranno l’essere nella notte dello spirito, quando tutto si consumerà nella pace del respiro che dissesta le membra alla sincope sicura di inspirazione ed espirazione della terra, dei fiori amputati che stillano gocce di profumi per arti parzialmente invalidi come quelli della memoria, che si consuma oltre la soglia al cigolare della messa eterna sull’altare del palco che imitatori di sagome consumeranno esperte di battute a dare le voci più grandi ai più piccoli nella genesi di ogni creatura plagiata da madre e padre terra, in una lingua che solo in pochi, superato il buio, sapranno pronunziare e non lallare per parlare con la forza che conviene alle creature senza corpo del vero cielo umano in terra
20 martedì Ott 2015
Posted libri, libro, poesia, poesie, prosa poetica, racconti, scritture, versi, versi poetici
inIcaro perde le ali e la piuma per lasciare il suo segno nel mondo col fuoco del sole dei giorni a venire di lente prodezze della fatica del tempo che si indaga nell’esperienza di un inchiostro che non è che la vita al largo dell’antico sogno di confine entro un confortevole guscio a noi familiare e comodo ad ogni risveglio. Io cerco la pace nei giorni sereni di un mattino ma la mia anima abita il buio e con lui si spegne onirica in ogni letto disfatto e rifatto per la pace del corpo fino a che pace non lo separi dal corpo e gli tenga la morsa serrata sino al crocchiare delle ossa dimenticate sul marciapiede che abbiamo trovato ultimo giaciglio in nostro potere d’uomo con Icaro battuto per terra che lascia per sempre cio’ che lo colpisce a morte e lo divorerà per tutto il percorso della sua vita con chiaro coraggio trascorsa nel tempo di un viaggio che riporta a tutte le fasi della storia umana, a tutti i periodi che struccano in un assolo magnifico ed unico di struggente abito stonato e per persona di maschera in maschera sempre più antica e smodata nei toni, sino al pargolo del proprio figlio, di una prole di cuccioli impegnati a restituire il calore mancante da una vita, quella fiamma del focolare non per ragioni di forza costituiti consanguineamente, ma in virtù del proprio odore e della sostanza che è vera linfa di vita per l’uomo.
Il fuoco sacro dell’affetto è scarso sul suolo terrestre abituale al nostro sentire diurno e abbiamo un sonno per abituarci alla morte che sboccia ogni sera sul cronografo dei giorni e della sfera di spicchi di arancia amara del sole e della fatica umana dell’individuo spremuto in un cocktail stratificato dal ghiaccio dei simulacri della propria anima sempre in una coltre più fitta di lame che squarciano fredde le ali di Icaro al sapore di libertà al podio soffiato sulla candela di elio sovrano che ci infiamma le membra di un colore che solo il bambino può riscoprire nei giochi del mare di un ulisse che guida la nave della avventura ai confini della cromatizzazione terrena.
Nel buio la luce. Sia.
19 lunedì Ott 2015
Il sole ha fatto una ruota sul buio centro delle nostre coscienze.
E un attimo si è affilato di iridescente croma di luce.
Altri giorni come lazzareti putrescenti al sapore della pena incisa dagli avi nel dna dell’umana creatura.
Colpa di fatiche per il popolo sepolto dalle gerarchie che solo il buio spegne con la tiepida e sacra corolla del sonno che investe le membra di nuova linfa e spegne la diurna saga della nostra incomprensibile esistenza al fuoco di questo cielo rosa, che nell’inverno delle stagioni apre le nuvole ad un sole che si coalizza con la sagoma degli uccelli a portare l’annuncio di nuovi canti al travaglio che mal sopportano le curve schiene del mondo sovrappopolato da città di schiavi che lo abitano intero nell’ora orizzontale, quando abbia da appiccare incendi sul nostro cuore che solo la follia del giorno conosce, sepolta dal solo sacro benedire del sonno che ripara i fianchi alle colonne della terra sparigliata per le trame di un reame per ogni Prometeo la cui aquila assassina squarcia il fegato consunto per quel gesto folle di illuminare il mondo che solo gli idoli attraversano indenni.
Processioni di uomini che ascoltano il canto dell’aquila a ritornare alla carne col becco di sangue che scrive la storia della luce nel cantiere del mondo, una fucina per gli storpi lavoratori delle miniere terrestri, dove gli orrori spaziano da spazio a spazio di suolo, capovolta ogni benedizione che maledettamente si dispiega a canto di tenebra come un cobra che abbia inciso la propria coda con i denti nell’uroboro della bestemmia perpetua dell’umano sopravvivere in questo purgatorio di luce.
E si apre una nuova tenda per l’attore del colosseo di fiere pronte all’assalto di un circo senza confini. Ed una nuova bestia ci insegna la bestia sin dai nostri primi giorni.
Bestia che sono, che sei , che siamo in questo anfiteatro per figuranti mai originali, persi nella scena di un gobbo buio che ribatte di parole gli spartiti sempre uguali per suoni di intarsiate cetre di pelle umana che vibrano del soffio che l’umana sofferenza ha inciso sulla carotide aperta dalla vita sicaria che richiede un compenso di morte per ogni figurante del pianeta e installa nell’ esercito 12000 aste di guerra per armi a combattere il fuoco dei giorni nella battaglia che tappa i musi all’unisono canto del sole per ogni spalto di generazione una nuova entrata nel girone della saga putrescente dell’esistere fra corpi vivi e corpi sepolti, che troveranno pace per la benedizione di un unico e solo buio totale e sacro alla vittoria di thanatos liberatore sovrano
08 giovedì Ott 2015
quando andirivieni di mosse si stagliano confinanti alia penobra più molle la polena tira dritta a marcia celere sul mare autunno plumbeo di corpi eclissati nella fiumara più vicina al cuore con il suo schiudere al buio una porta rotonda che è femmina e se femmina femmina dove restare e nel buio di un attimo giglio sforare i diametri delle mura del regista con un lampo nel buio che ne sfora gli occhi inzingariti dal desiderio di un tocco al tuo corpo buio che nel fiume di posate si scambiano umori e sapori di latte e sangue con la stessa gola di sete d’alcool che ti passa nel flusso di un floreale omaggio della parola che ti porta sulle pagine fiamme di falene in braci di palissandro e come se piovesse solo un istante fra le goccie del piovisco si snaturano i contorni per la scena circostante come se tutto scorresse per essere l’arke di un attimo d’amore e di nuova vita che si respira nell’aria con la luce dei corpi assonanti che respandono al corpo sensuale la dinamica della calamita che si attrae per legge fisica e ti vuole sapere suo con la morsa di un cane da presa che si torce a combattere il mondo per la vita e se il mondo è la vita che vita è se non buio il colore se non buio la luce se non buoi la vita.
ma ancora dreve arrivare la sorte di comprendere dove arrivare e se arrivare per una strada che lecita è sempre a chi non ha stato che prende lo stato e lo riporta in stato. come malmenato dal proprio nome ed essere perché io vorrei il tuo sguardo sulla mia posizione più vera e intima dalla nostra storia per vedere quanto è andato avanti il crono
col suo tempio da soggiorni in clinica e relax totale per la vittima della seconda scena solipsisticamente sovrapponibile nel nastro del grande fratello della zia che mastica la ruggine della sua mitologia che porta la spilla sul cuore con stile sui capelli lunghi biondi sempre accesi di ghirlanda alla giostra delle luci della notte che le aprono un letto dove c’è sempre posto per te Luce
05 lunedì Ott 2015
Posted la legge del buio, letteratura, letture, libri, libro, poesia, prosa poetica, prose poetiche, scritture
inLa mano non è solita abitare lo spazio fra il rimando di un sogno e l’offerta di una certezza, perché è tutto di sogno il viaggio in questa metropoli di mezze misure e piazze di letti ancora sussurranti un calore che non ti ha saputo ancora una volta scaldare la notte, sino al giorno in cui tutti i giorni non sono che pennellate di notti, abbandonate al fluire stantio di un diario dell’oblio che segue il decorso della malattia di restare appesi ad una vita, che sia o meno vita lo sai dalla certezza imposta al tuo umore che ti stacchi di dosso come sughero e ti lasci sanguinare fino alle ginocchia ogni volta che il calendario ti ripete la sequenza dei giorni, degli anni, dei mesi che restano depositati sul fondo di un decanter per liquidi che di te stesso dovrai ingerire per sublimare l’assenza della vita, che scorre sola, con il ritmo del fiume e non si lascia bere né intendere per mezze misure se non nel costrutto che intendi affidarle nell’ennesimo solito stratificato progressivo buio di avanzi di piatti e pietanze buttate sul fosso dello stomaco di ferro che prima o poi farà ruggine anche esso cavalcando fra le sondabili progressive ipotesi di ciò che non potrai più permetterti di ingerire in veleni di terreni materiali senza sostanza di forma e peso e massa superiori alla tua stessa massa e portata e il lento rifiutarsi delle labbra di agire con un morso o solo una parola ti cadrà nella pancia più forte di ogni pasto e con maggiore certezza saprai di essere sazio di tutto questo.
Con la magrezza dei fantasmi ti trascini sul sepolcro dei giorni e passi la notte in un bianco dove non c’è spazio che per l’immobilità, la stessa immobilità che ti strascichi addosso da quando non hai più tempo per i tuoi giorni, imbastendo di buio e sua legge ogni gesto di pura sopravvivenza che si esprime con un lento dialogo fra te e il buio medesimo, dove il buio è solito tacere e flagellare di silenzio ogni coro andato perso bambino e se il bambino piange è solo e non ha lingua, ma lalla il canto del buio che si trasforma in verso di poesia e canto quando per quanto non saremo seri gli daremo una voce che sappia ridere e gioire del confine fra buio e luce, fra angelo e diavolo, fra bestia e umano con la metafora della favola della scoperta del fuoco sempre viva e prima in caroselli e reclame di limoni spremuti come spicchi di giorni che acidano l’accidiosa impotenza e assenza di glucosio di un diabetico senza arti che ha perso anche l’ultima mano nel riflesso del suo stomaco malato e ormai scrive di saliva il cuscino della morte che l’accamparrà fra il sonno e l’oblio dei farmaci in un ennesima adolescenza alla morsa fra il volere e il volare oltre la morte che solo l’infermiere che rifà il letto potrà segnalare alle autorità senza autorità e all’autore senza spartito per lo sparuto chiodo ennesimo distaccato dal muro che ha perso il ritratto del vostro ennesimo sosia.
28 sabato Mar 2015
Apolide Sedentario & Manzone Ramingo ci consegna l’ultimo capitolo.
il capitolo LXXIII.
e si scrive la FINE
(per cont(r)atti, scrivetemi in privato)
12 mercoledì Nov 2014
Me & Bob Quadrelli
ospiti qui : http://www.nazioneindiana.com/2014/11/12/concordi-a-kanop/
17 martedì Dic 2013
Posted arte, Asfaltorosa, casa editrice L'arcolaio, immagini, libro
inringrazio di cuore il pittore Roberto Matarazzo per aver dedicato un suo dipinto al mio libro Asfaltorosa L’Arcolaio per Ex Libris
30 sabato Nov 2013
Posted letteratura, letture, libro, Mirko Servetti, poesia
in
di MIRKO MIROSLAV SERVETTI
“Un bacio ad apparir bocca di un cobalto…”
I
Quando il linguaggio cessa di esistere nella sua forma servile, vien meno anche il sistema difensivo sul quale si instaura la sintassi. Non c’è più un tempo vuoto e omogeneo da riempire con le sedimentazioni dell’esperienza e del significare. Dissenso dal parlare, allora: da cui scaturisce una scrittura inattesa, impossibile, costellata di ricordi senza alcuna presa sulla memoria (Ho cambiato il colore dei miei occhi su una pagine di legno che frutta marciapiedi per i sorrisi mai recapitati alla posta del mio cuore a trampoli 1). L’ora, in stato di quiete e di non coincidenza con ilpresente, viene incontrato dal ricordo al di fuori di qualsiasi durata (Lui è un trompe l’oeil, che vedo solo io e che esce dal foglio con la mano aperta a portarmi il saluto delle parole turchine 2). L’ebbrezza, il senso di essa, insita nel complesso della raccolta, è il tempo senza mondo in cui esso emerge.
II
Non si ha alcuna tessitura testuale dell’inconscio, alternativa a quella della memoria, perché è l’Altro da ogni tessitura ciò che viene a ritmarsi nel sussulto intermittente della Surrealtà (Scivola senza sosta/sibilando serpentina/questa mia lingua srotolata/sulle soglie stridenti/di un senso selvatico 3). E non è più all’interno dei “programmi” che accade l’incontro, folgorazione accecante (ché in quanto folgorazione, rivela la celata ‘seconda vista’ quale fattore di ‘ebbrezza’) dell’essere flâneurperduto nella giungla anamnestica della meraviglia (ti strangolerò/con del filo -/il filo del/discorso/spezzato in/ogni briciola/del tuo silenzio – 4).Il frastuono delle barriere si smorza, rimane soltanto un ‘brusìo’ insistente, fuori campo, estraneo al campo visivo del mondo. La scrittura di Francesca Canobbio si manifesta come sorta di ierofania profana che disattende la salvezza del libro, arrischiandosi nell’opacità del ricordo fin dal primo istante, utopia dell’umano imbroglio delle parole che vorrebbero restituirne il volto, se non il senso (Quando ti prende il sentimento/e l’alibi hai perso/sul tuo stesso cadavere 5). Scrittura come ‘malattia mortale’, frammento apolide nel deserto muto delle metropoli e dei luoghi ‘di senso’, sussulto che squassa la gola. Follia dell’inorganico, forse, o trasparenza che si risolve in un nulla da vedere, tranne il vuoto che complotta, insistente e invisibile, erodendo la compatta vanità dell’esserci (Il profilo dell’assenza/è abuso della maschera/è metafora che moltiplica/il carnevale dell’ombra/… 6).
Mirko Servetti
Indice delle citazioni
1) da “Quella risata che parte dalla fine”, pag. 27
2) ibid. pag. 28
3) da “Sonora”, pag. 43
4) da “Accento minimo (del plagio)”, pag. 60
5) da “Quando ti prende il sentimento”, pag. 61
6) da “Il profilo dell’assenza”, pag. 85
da Arcolaio.ning
http://arcolaio.ning.com/profiles/blog/show?id=4508738%3ABlogPost%3A22293&xgs=1&xg_source=msg_share_post
Presentiamo quest’oggi il primo libro di Francesca Canobbio. Il titolo, “Asfaltorosa”; la collana, Arcolaio.
Introducono l”opera Daniele Ventre e Vincenzo Sparagna.
Per comprendere a fondo quest’opera di Francesca, pubblicheremo qui sotto due frammenti tratti dalla prefazione e postfazione.
Concluderemo l’articolo con la ripresa di qualche testo.
Buona lettura.
Dall’introduzione di Daniele Ventre:
Il romanzo della parola esplosa e ricomposta
“La poesia di Francesca Canobbio nel panorama della lirica di questi anni, segue un percorso specifico, alquanto composito e diversificato, in cui però si possono cogliere alcune tendenze di fondo, che la raccolta Asfaltorosa compendia nella loro apparente eterogeneità e nella loro unità sostanziale.
Un primo elemento che ne connota lo spirito come la lettera è la tendenza a un lusus verbale che pone in essere un sistematico straniamento nel quotidiano, attraverso la ripetuta violazione delle attese linguistiche del parlato ordinario. Nello stesso tempo, la parola straniata, distolta dal suo contesto ordinario e fissato da tic linguistici ormai consolidati, viene ridefinita da nuove coordinate semantiche e sintattiche, all’interno di una struttura di frase alquanto articolata, spinta deliberatamente al limite del contorto. ”
***
Dalla postfazione di Vincenzo Sparagna:
“… Torno a rileggere e trovo questo “Ingoiare amaro amore come pane tra le righe” che potrebbe farmi pensare alle sofferenze degli abbandoni se non fosse che appena qualche pagina appresso ecco apparire la figura di un “autentico falsario” che “conosceva a menadito / i trucchi del mestiere”. E viene il sospetto che il falsario sia io stesso che mi racconto il sogno appena fatto o l’autrice o un suo doppio teatrale (amletico appunto) e che quello struggimento d’amore sia anch’esso un trucco, una figurazione surrealista, la distruzione della pittura attraverso la pittura medesima. Forse questi versi sono, come dice uno di loro, solo “la nuvola che ci nasconde la notte”, oppure sono semplicemente “l’inatteso imprevisto …”.
***
Alcune poesie:
Scivola
Tutto sulla plastica scivola
anche il sangue.
Tutto scorre
ma non ci bagna il fiume
nell’apnea dei tempi.
Tutto scivola sul petrolio
anche il sudore
della vertigine dei suoli
scivola
sugli abissi dei vertici.
Tutto scivola
e niente pesa:
come il petrolio
galleggia sul mare
ed il petrolio
pesa più del mare.
Tutto scivola
e continua a scivolare…
—
La notizia
Strepitare di voli angelici
tocca suoli terreni
Senti le ali fluttuare
sul confine del regno.
Dove è segno una bianca piuma
sull’inchiostro nero
del nostro terreno vagare.
Fra le pagine sporche
del primo giornale del mattino …
… la notizia
—
Che suoni muta
Le daremo un nome
che suoni muto.
Che non si perda all’orgia
dei pentagrammi.
Che non batta fra denti e labbra
nei palati già umidi di parola
(fra le arcate
voce
che gola strozza).
Chiuderemo a chiave la nota:
che suoni muta
incastonata
fra il pilastro delle dita
e la cornice della bocca.
Contrapposti.
Muti e casti
http://arcolaio.ning.com/profiles/blogs/esce-oggi-il-primo-libro-di-francesca-canobbio-asfaltorosa
Per ordinare il mio libro di prossima uscita scrivete a info@editricelarcolaio.it
immagine di copertina di Gianni Priano
prefazione di Daniele Ventre
Daniele Ventre (n. a Napoli nel 1974) ha pubblicato per l’ed. Mesogea la traduzione dell’Iliade di Omero (2010 -premio Achille Marazza 2011) e del Ciclope di Euripide (2013). Di prossima pubblicazione una sua traduzione dell’Odissea. Nel 2011 ha pubblicato per le Edizioni d’If di Napoli la raccolta “E fragile è lo stallo in riva al tempo”. Collabora con il blog Nazione Indiana.
postfazione di Vincenzo Sparagna
Disegnatore, scrittore e giornalista, nato nel 1946 a Napoli, ha vissuto a lungo a Roma. Oggi abita a Frigolandia, città immaginaria dell’Arte Maivista da lui fondata in Umbria in una ex colonia abbandonata alle pendici dei Monti Martani. Dopo aver partecipato ai movimenti rivoluzionari degli anni ’60 e ’70 in Italia e in vari paesi del mondo, è stato uno dei protagonisti delle invenzioni e dei “falsi” de Il Male dal 1978 al 1980, anno in cui ha fondato la rivista Frigidaire che tuttora dirige insieme al mensile di satira e idee Il Nuovo Male (in edicola dall’ottobre 2011). Ha pubblicato vari libri di politica, storia e satira. Ultimo in ordine di tempo “Frigidaire, l’incredibile storia e le sorprendenti avventure della più rivoluzionaria rivista d’arte del mondo”, Rizzoli 2008. Per saperne di più vedi il sito http://www.frigolandia.eu
20 mercoledì Mar 2013
Posted Buonesiepi, Giampaolo De Pietro, letture, libro, poesia, versi, versi poetici
inIl mio primo commento al lavoro di Giampaolo è una sua stessa poesia :-)
Oggi ho visto un
ciclamino ritto
nel suo vaso.
Dopo il negozio
era chiuso.
Domani te lo
presento
(pag 55)
da “E’ ARRIVATA LA LUCE A ANNERIRE UNA PAROLA”
La lunga corte di
un giorno
e, infine
è arrivata la luce
a annerire una parola
io mero fatto blu
e nonostante il fisico
scomparire dell’edera
tu ritornavi a casa
è finalmente il tempo
di ripartire in due, l’unico
–
albero del passaggio, tutto quel bianco paesaggio
e basterebbe una parola – paese
uno scambio di luce o lo scarto di esse
o tratti di grigio appena prima del nero, tratteggi di mezzo
respiro
dopo
la stessa
aria, statua, calma, sincera
Treno
ufficiale dei
denti. Quanti
saluti al giorno,
meno discorsi
che resto. E
resti. La macchia
al pavimento è
la via di mezzo-
non esagerare in
baldoria agitata
tristezza -giorno. La
luna i santi tre e
le nuvole fanno
lo sguardo di
fronte al
pomeriggio.
Vorrei solo
bagliori di cielo e
una cassa che
risuoni di nuovo.
La lunga corte di
un giorno
Così, scatta aria
ogni altro
elemento. Conta
distrarsi, basta
contare. Utile
come un vecchio
ascolto, chiude
gli occhi, di
ritorno. Non c’è
pagina giusta, né
la seguente.
Forse andando
con mano
sinistra e dita in
avanti
sfogliando
all’universo
(pagg. 48,49,50)
“La foglia è due metà” è il libro di un uomo, Giampaolo De Pietro, che non è solo (il) dorso (l’esterno) , ma palmo gonfio a raccogliere sé stesso, il profondo, nella parola ( l’eterno), foglia che non si copre occasionalmente rugiadosa al mattino per fenomeno di puro atto esistenziale connesso al vivere comune e labile come temporanea immersione nella brina passeggera, ma mano a conchetta per la pioggia alla sete e alla passione dell’ “essere vivi” “presenti”, a sé, agli altri, alla pagina, alla parola (che viene) scritta e data; all’ascolto continuo dell’onda sprigionata sinuosamente da mari, radio, voci, terra, cieli, cuori. E’ tentativo di metamorfosi per superare la metamorfosi dell’anima e del mondo interno/esterno, che viene mutato in vegetazione continua per radicare la propria essenza al mondo, come la foglia, che è spunto e spunta, e al suo gambo, al suo ramo, alla sua radice.
Giampaolo si dichiara “due metà”, e ci mostra l’esistere degli aspetti celati e rivelati dal vento che spira naturale rivelatore del verbo scriversi di un poeta che, gentile, scopre le vene, anche dolenti, della foglia senza mai reciderle, ma facendo del suo lavoro un inno all’ esistenza, che supera il contrasto con la pura gioia della genuinità del mondo evocato da una natura, anch’essa esterna/interna, la quale è qui e rimane immanentemente in un respiro continuo e superiore che non può che trasportare verso un topos che è luogo di raccoglimenti scoperti, o all’aria aperta, o in aperte arie di versi brevi che si respirano con il fiato che procede lungo e largo per paura dell’arresto di quel battito inciso nelle parole che danno nervo alla foglia, la cui specificità di essere duplice include il doppio servigio che offre al lettore nello scambio simbolico di sensi e duplicità alle volte riportate dall’autore, che ne fa un movimento di gioco, ma sincero col suo lettore, perché non ambiguo, ma come dichiarato, pur sempre svolto nella piena bontà di spirito del mondo naturale della natura, sottilmente e verde di speranza come la sua foglia che, da una parte, lo veste e, dall’altra parte cinge quel bocciolo che è essenza liberamente e puramente offerta in dono alla scrittura.
Francesca Canobbio
21 sabato Apr 2012
Tag
booksinthecasba, eventi, francesco forlani, la veranda di montale, quintadicopertina, readings, turning doors
Genova 19 aprile 2012 Booksinthecasba – video di francesca asfaltorosa canobbio
– I biglietti dell’autobus li ho presi anche per te, dai così ti racconto tutto, o almeno quello che merita di essere raccontato. (effeffe)
Quando la realtà si disarticola
(seppure mai ne fu una) e qualche sua parte
s’incrosta su di noi
allora un odore d’etere non di clinica
ci avverte che la catena s’è interrotta
e che il ricordo è un pezzo di eternità
che vagola per conto suo
forse in attesa di rintegrarsi in noi.
È perciò che ti rivedo
volgerti indietro dall’imbarcadero
del transatlantico che ti riporta
alla Nuova Inghilterra
oppure siamo insieme nella veranda
di ‘Annalena’
a spulciare le rime del venerabile
pruriginoso John Donne
messi da parte i deliranti abissi
di Meister Eckart o simili.
Ma ora squilla il telefono e una voce
che stento a riconoscere dice ciao.
Volevo dirtelo, aggiunge, dopo trent’anni.
Il mio nome è Giovanna, fui l’amica di Clizia
e m’imbarcai con lei. Non aggiungo altro
né dico arrivederci che sarebbe ridicolo
per tutti e due.
E. Montale