Ti raccoglierò i suoli per sola salita fra le pietre ad ago di scalzo piede, in questo passo arreso che compio con il legno fra le mani, ad entrata libera nella sagra delle nostre età, così diverse sugli scampoli di stoffa, così uguali sulla carta d’identità, così differenti per un pelo, mio amico cane accanto, a cui sorride la coda
—
Guarda le macchie dei fiori sul prato e dimmi se non c’è qualcosa di più pulito. Guarda i puntini delle stelle nel cielo e dimmi quale sospensione potrebbero darti questi miei giocattoli bui….. Guarda la coda di un cane felice e dimmi quanti denti ha quella risata che parte dalla fine
Il mio passo
da sé scomunicato
non trova strada
sulle vie del peccato.
Mi vorrei vampa
a te accesa
su un eccessivo rogo
a combustione di gravi atti impuri
per poi farmi di cenere
e posare
così delicata
da decompormi in un solo soffio
di un tuo alito complice
che incontra
in un mio sospiro scolpito nell’aria
la voce
con cui chiamare atto di fede
un atto di passione
in questa mia sconsacrata chiesa
che è il mio corpo
-senza rito
che non sia amore.
-senza croce
che non sia cuore e delizia.
Che ti galleggia il piede
quando sgrava
accomodarsi all’onda
le caviglie
che sole assaggiano
la polpa del mare
misurando il peso dell’acqua
che sale e sale porta
a discendere
in bianco filo di quando bacia
il verde
sulla pelle che porta il segno
e non è un tempo
che orienta le gambe
ma seduto
orizzonta
come il sole la sera
che saluta
due piedi
dall’angolatura che più interroga
e no! non lo vedi…
ha ribaltato un’onda
la nuvola che ci nasconda la notte
sottosopra il cielo era un in lampo d’argento
e l’ho legato al polso a far da corona
al tempo perso
ai secondi contati
che ho smesso in un bicchiere
assieme alla pioggia che più non cade
nemmeno dalle palpebre asciutte
siamo sale
di un deserto in movimento…
sulle faccende
chiar’ oscura a ventiquattro
l’ora
di seme a lune
e sole.
Minuta di carattere
che ha in mano matite
come dita
e scritta una sentenza lunga come un’unghia
per letto
o(h) foglio lenzuolo
con uno strappo per occhi fissi
a un’alba mobile
di incerti righi pargoli
luce di madre
lingua
I lacrimogeni per allontanarmi
dalle insegne delle profumerie
i nostri corpi senza odore
come i cadaveri degli astronauti
la mattina presto
mentre decidono la tua morte
con uno strumento che dovrai imparare
ad adoperare…
le mosche bianche
morti bianche
i pappagalli del condominio
le soubrette multirazziali
ed i programmi culturali…
ma non conosco la notte degli animali in gabbia
e non conosco l'approvazione del capofabbrica
e non mi intendo di grammatica…
ecco vedo voglio…tentazioni
che preferisco alle mercificazioni
alla compravendita di case
ai musei del vietato toccare
all'insulto
che è sinonimo di salario…
le mosche bianche in piazza
cadaveri
con kilometri di scontrini nelle tasche…
la morte non è bianca!
La morte è rossa,
come il sangue che sfinisce le pozzanghere
da un centro popolare ad un complesso residenziale…
e mentre fotocopiano cieli sereni
per il nostro bisogno di equilibrio
a pochi centimetri dalla tua bocca
ritrovo il coraggio di gridare
-a morte l'ingegneristica autostradale-
Per la sicurezza delle stelle
ricominciamo ad abbattere le città…
e i tuoi capelli sono fili direzionale
sono dita nere che riaggiustano la notte
la notte
che so di non essere normale
senza uno sparo una cicatrice ed il tuo minuscolo seno…
senza uno sparo una cicatrice ed il tuo minuscolo seno
senza uno sparo un cicatrice ed il tuo minuscolo seno
senza uno sparo una cicatrice ed il tuo minuscolo seno
senza uno sparo una cicatrice…ed il tuo minuscolo seno…
sfila la strada
in parallele fughe
passerella di re minore
sul lastrico denso di un solfeggiato passo
che scuce il suolo dalle corde tese a rondine
d’ogni nido a campana di cristallo
ove rifugia la notte
che si abita intera, nell’ora orizzontale
nell’immobile credo isolato di un colore solo
che chiude il labbro gonfio, come un tappeto sul passaggio segreto
dove sbocca ogni sentiero, alla foce della parola
Genova di mio fratello.
Cattedrale. Bordello.
Genova di violino,
di topo, di casino.
Genova di mia sorella.
Sospiro. Maris Stella.
Genova portuale,
cinese, gutturale.
Genova di Sottoripa.
Emporio. Sesso. Stipa.
Genova di Porta Soprana,
d'angelo e di puttana.
Genova di coltello.
Di pesce. Di mantello.
Genova di lampione
a gas, costernazione.
Genova di Raibetta.
Di Gatta Mora. Infetta.
Genova della Strega,
strapiombo che i denti allega.
Genova che non si dice.
Di barche. Di vernice.
Genova balneare,
d'urti da non scordare.
Genova di "Paolo & Lele".
Di scogli. Furibondo. Vele.
Genova di Villa Quartara,
dove l'amore s'impara.
Genova di caserma.
Di latteria. Di sperma.
Genova mia di Sturla,
che ancora nel sangue mi urla.
Genova d'argento e stagno.
Di zanzara. Di scagno.
Genova di magro fieno,
canile, Marassi, Staglieno.
Genova di grige mura.
Distretto. La paura.
Genova dell'entroterra,
sassi rossi, la guerra.
Genova di cose trite.
La morte. La nefrite.
Genova bianca e a vela,
speranza, tenda, tela.
Genova che si riscatta.
Tettoia. Azzurro. Latta.
Genova sempre umana,
presente, partigiana.
Genova della mia Rina.
Valtrebbia. Aria fina.
Genova paese di foglie
fresche, dove ho preso moglie.
Genova sempre nuova.
Vita che si ritrova.
Genova lunga e lontana,
patria della mia Silvana.
Genova palpitante.
Mio cuore. Mio brillante.
Genova mio domicilio,
dove m'è nato Attilio.
Genova dell'Acquaverde.
Mio padre che vi si perde.
Genova di singhiozzi,
mia madre, Via Bernardo Strozzi.
Genova di lamenti.
Enea. Bombardamenti.
Genova disperata,
invano da me implorata.
Genova della Spezia.
Infanzia che si screzia.
Genova di Livorno,
Partenza senza ritorno.
Genova di tutta la vita.
Mia litania infinita.
Genova di stocafisso
e di garofano, fisso
Non li ricordiamo
d'amnesia solipsismo
L'arco si quieta
nel buco nero della notte
Li abbiamo lasciati a tremare il loro nome
con la bocca di un porto
e mille cristi scesi a cerchio
nella città che aveva
le strade di carta igienica
Per ogni strappo
che abbiamo rubato
un gettone d'eroina nero
per chiamare la vita
con sinestesia
Ma non si muore
in verticale
e nemmeno in giravolte
nella curva di un attimo indietro e
quando mancano
tre parole
alla fine
—-
(lui continua)
La sera fumosa d’estate
Dall’alta invetriata mesce chiarori nell’ombra
E mi lascia nel cuore un suggello ardente,
Ma chi ha (sul terrazzo sul fiume si accende una lampada) chi ha
A la Madonnina del Ponte chi è chi è che ha acceso la lampada? – c’è
Nella stanza un odor di putredine: c’è
Nella stanza una piaga rossa languente.
Le stelle sono bottoni di madreperla e la sera si veste di velluto:
E tremola la sera fatua: è fatua la sera e tremola ma c’è
Nel cuore della sera c’è,
Sempre una piaga rossa languente.