Di voi conservo le panchine immobili. Quelle accalcate l’uno sull’altro. Serrate all’incontro. Muro frapposto. Nascoste sotto le fronde degli alberi di cinta le vostre nuvole. Sciami di insetti fra i capelli e i colli ti dicono l’aria umida. Gli occhi abbassati a fissare il cemento del suolo arido. Piastrelle grigie s’incastrano a riempire lo spazio. Le fughe, impossibili. E il perimetro secco proietta quel tempo. Che è un cubo di grigio. un vuoto di linee interrotte da anelli di fumo che un alito di vento gelido spande sulle nostre teste; e il gelo di quei momenti addosso come nel sangue .Non passo più lì da un sacco di tempo.Non battono più le palle da un pezzo. C’è solo uno scivolo.Tutto da lì si precipita e porta in basso, dirupano i pensieri verso i sottosuoli dell’anima in un giardino periferico dove sbarre invisibili hanno già segnato gli ergastoli che sconteremo a causa della nostra povertà. Il nostro non essere.Quel tanto che sarebbe bastato tu non avevi. Quel niente che io ho diviso sembrava follia. Quel poco che mi rimane lo tengo per me. Che di più non ce n’è. E a te non è mai piaciuto ricevere lettere.
30 martedì Giu 2009
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l’ergastolo da povertà…magnifico!
luoghi d’alito. orme che restano indietro. a dura memoria.
le fughe impossibili delle/tra le piastrelle dei ricordi (“non c’è scampo dalla memoria”, amava dire borges…) disegnano una rete che incastra lo spazio del tempo all’evidenza: è il freddo tattile della distanza cronica, del “non passo più di là da tanto tempo”, il distacco da chi non c’è più (e che di più non ce n’è).
un intenso cortometraggio, zoomatpo sul non essere del *noi* (e del poi).
(occhio, due refusi: “qel”)
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